In viaggio con Antonio Caldara

Il primo concerto dei “Giovani dell’Academia” di questa stagione, ‘costruito’ dalla violinista Oliva Centurioni, ha presentato un programma di respiro europeo, seguendo il viaggio di Antonio Caldara “musico di violoncello veneto” presso le corti europee del primo Settecento – a Roma, Vienna e Dresda.

Com’era abituale all’epoca, i musicisti si spostavano sia per apprendere (è il caso di Caldara a Roma), sia per insegnare a loro volta: il compositore veneziano sintetizzò nel proprio stile la tradizione veneziana madrigalistica e concertante di Monteverdi, il melodismo appassionato di Alessandro Scarlatti e della scuola napoletana, lo strumentismo dei bolognesi e di Corelli (conosciuti a Roma), e a sua volta, nei suoi soggiorni oltralpe, influenzò Bach e Telemann, oltre a contribuire a far maturare i presupposti del classicismo viennese.

Il concerto era articolato in tre sezioni, una per ciascuna tappa: ogni sezioni proponeva in apertura un brano di musica sacra di Caldara, seguito da brani di musicisti che Caldara aveva conosciuto presso quelle corti: Legrenzi, Scarlatti e Castrucci a Roma; Fux e Porsile a Vienna; Zelenka a Dresda.

Nella prima Sinfonia eseguita, Caldara dispiega una scrittura intensamente dialogica, vibrante di delicata tenerezza, nitida e raffinata; ondivaga e interrogativa la Sinfonia viennese; severamente contrappuntistica la Sinfonia composta a Dresda, degna di una “Passione” di Bach.

Altrettanto bachiane sia la meditativa “Fugazza” di Legrenzi, maestro di Caldara a Roma, sia l’Ouverture di Fux, massiccia e marziale.

Tutt’altra atmosfera si respira nella sinfonia di Porsile, noto e apprezzato esponente della Scuola musicale napoletana: traboccante di energia vitale, ora tumultuosa e scanzonata, ora allusiva e ammiccante. Anche Alessandro Scarlatti prima di trasferirsi a Roma ha trovato nella fioritura culturale e artistica della Napoli del primo Settecento le condizioni ideali per un compositore: la sua Sinfonia ha un’indubbia dimensione teatrale, il tessuto musicale è ricco di chiaroscuri, di tensioni, quando non intimamente contraddittorio.

Altrettanto teatrale il concerto grosso di Carlo Castrucci, allievo di Corelli: il dialogo tra il tutti e il concertino ha una scansione geometrica, esaltata dalla dislocazione di due violini e una viola nello spazio della vecchia sacrestia, con un misterioso effetto d’eco.

Decisamente insolito il brano conclusivo, l’Hipocondria di Zelenka a sette concertanti, in cui di nuovo si apprezza particolarmente la dimensione ‘geometrica’ della musica.

Ma soprattutto del concerto si è apprezzato il piacere di veder suonare, con stile, eleganza e grande maestria un gruppo di valenti musicisti, che nel giro di pochi giorni hanno saputo costituire una vera orchestra, affiatata, precisa, professionale.