Le emozioni dei concerti

“RIVALS – HAENDEL E VIVALDI” (9-2-2016)

David Hansen

Perché dare questo titolo al recital tenuto dal controtenore David Hansen con l’orchestra dell’Academia Montis Regalis diretta dal maestro Alessandro De Marchi  a Mondovì Piazza? Rivali non erano certo i due musicisti autori delle musiche eseguite, che rappresentano insieme lo splendore del Barocco maturo, l’uno con il suo concerto solistico, l’altro con le sue opere. Rivals allude alle leggendarie rivalità che opposero i più celebri tra i controtenori a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, tra cui il famosissimo Farinelli, oltre a essere il titolo del CD inciso da David Hansen con l’Academia Montis Regalis a Mondovì per la Deutsche Harmonia Mundi.

Lui, lo straordinario controtenore moderno (Sidney, 1981) è invece in gara solo con se stesso, per fare meglio in ogni concerto, come ha dichiarato in un’intervista a “Sistema Musica”. Oltre al dono naturale di una voce potente e piena, capace di raggiungere con agilità gli estremi del registro acuto, oltre a una tecnica perfetta, che gli consente le più strepitose acrobazie tra gorgheggi, trilli, fioriture e colorature di ogni tipo, Hansen ha un temperamento molto teatrale, espressivo e ironico, quasi rock: è un cantante da vedere, non solo da ascoltare.

La prima aria di Haendel eseguita,  Se in fiorito, ameno prato (da Giulio Cesare in Egitto) poteva valere come dichiarazione programmatica sulla piacevolezza vitale delcantar; le altre arie costituivano un’antologia degli “affetti” che l’aria dell’opera barocca aveva la funzione di esprimere: dallo strazio di un’aria drammatica come Per dar fine alla mia pena (da Serse), alla passione di Quando invita la donna l’amante o Con l’ardor del tuo bel core (da Agrippina), alla speranza e al sollievo di Dopo notte atra e funesta eQual piacere a un cor pietoso (sempre da Agrippina).

Ai concerti di Vivaldi il compito di introdurre e incorniciare il canto. Quello di apertura, il celeberrimo RV 151 “Alla rustica”, ha creato splendidamente, grazie al calore timbrico dei bassi, un’atmosfera festosa e informale. Il concerto per archi RV 125 ha saputo esprimere con i soli mezzi strumentali una tavolozza di affetti quanto mai variegata: spiritoso l’allegro iniziale; virile e ammiccante l’andante, commosso ma pieno di autocontrollo; festoso e danzante l’allegro di chiusura. Il concerto RV 443 per flautino (solista la fagottista Maria De Martini) è stato infine l’occasione per ammirare un altro tipo di virtuosismo: il musicista diventa strumento del suo strumento, come il cantante della sua voce – entrambi al servizio della Musica, dell’Armonia, della Bellezza che li trascendono.

VIVALDI CAMERISTICO – CANTATE E SONATE (13-7-15)

Quest’anno, per ragioni di bilancio, la stagione estiva dell’Academia Montis Regalis si è limitata a un unico concerto, tenutosi a Mondovì e interamente dedicato a Vivaldi: suonava la formazione strumentale “L’Astrée – Gruppo cameristico dell’Academia Montis Regalis”, composta da Francesco D’Orazio (violino),  Rebecca Ferri (violoncello) Pietro Prosser (tiorba), Giorgio Tabacco (clavicembalo); la voce era quella del soprano Stéphanie Varnerin, giovane, eclettica artista francese vincitrice di innumerevoli concorsi, il cui repertorio spazia dal barocco al contemporaneo, passando per l’ opéra comique  e la musica romantica. Il programma della serata ha sapientemente alternato sonate e cantate, mettendo così in luce una dimensione intima – meno conosciuta forse, ma non meno piacevole – della produzione vivaldiana.

Le cantate amorose Amor hai vinto, Elvira anima mia, Fonti del pianto, Lungi dal vago volto, articolate in due recitativi e due arie (una lenta e una veloce), sviluppano il tema degli effetti contraddittori dell’amore e sono ambientate in un paesaggio arcadico di “selve” e “augelletti” – il cui canto è “imitato”, insolitamente, dal violino. I possenti recitativi hanno una funzione introduttiva, mentre le arie sono il luogo in cui la musica potenzia e dilata gli “affetti” del testo, sia con il ritmo – ora nervoso e agitato, ora triste e lento,  sia con la melodia – ora accorata e struggente, ora intensa ed esultante. L’interpretazione è molto espressiva e ricca di pathos, la voce gorgheggia piena di colori ed effetti, e gareggia con il violino dando prova di grande virtuosismo.

La caratteristica “affettuosa” della musica vivaldiana emerge chiaramente anche dalle quattro sonate proposte: la Sonatain sol minore RV 27 per violino e continuo, la Sonatain do minore RV 83 per violino, violoncello e continuo, la Sonatain la maggiore RV 31 per violino e continuo, la Sonatain la minore RV 43 per violoncello e continuo, in cui sono visibili i modelli corelliano e bachiano, nella presenza di ritmi di danza e nell’utilizzo della tecnica contrappuntistica. Ne consegue un dialogo severo e appassionato, variegato e tumultuoso  tra gli strumenti; tutte le sfumature cromatiche della tavolozza vivaldiana sono messe ben in evidenza,  dalla malinconica dolcezza dei tempi lenti ai fremiti di tensione concentrata che “esplode” negli allegri.

Il concerto è stato un’immersione nella bellezza di una musica effervescente e delicata, geometrica e vorticosa, e nei suoi affascinanti chiaroscuri.

 

A MESSA CON BACH: UN’ESPERIENZA RARA E PREZIOSA (3-5-2015)

Bach 3-5-15 foto

Ha proprio ragione Chailly: «Il genio di Bach è troppo grande per la parola. Bach può essere solo ascoltato e vissuto». E per fortuna erano tantissimi ad ascoltare, a vivere, la Messain si minore di Bach BWV 232, per soli, coro e orchestra, che ha rappresentato il vertice di Mondovì Musica  2014-15. Per l’occasione è tornata a esibirsi nella città che le dà il nome l’Academia Montis Regalis, diretta da Alessandro De Marchi, affiancata dal Coro Maghini diretto da Claudio Chiavazza, con i solisti Amelia Scicolone e Camille Poule (soprano), Annalisa Mazzoni (contralto), David Szigetvari (tenore) e Marcell Bakonyi (basso).

La Messa è uno straordinario esempio di ‘composizione’, alla lettera: infatti è il risultato dell’assemblaggio di parti musicali scritte in tempi diversi, nell’arco di venticnique anni. Non solo: essendo stata ultimata nel 1749, rappresenta anche il testamento spirituale a artistico del compositore, che sarebbe morto nel 1750.

Scrive il musicologo Alberto Basso: « La materia […] offre spunti e argomentazioni per sostenere tanto la tesi “cattolica” quanto la tesi “luterana” e consente anche di intendere l’opera in termini di ambivalenza. La sua natura cattolica emergerà quando si vorrà considerarla nei termini di un corpo unitario, elaborato lungo un ampio intervallo di tempo, svincolato dalla realtà storica e quasi isolato in un mondo astratto e ideale anche se agganciato alla tradizione della Missa concertata. Al contrario essa apparirà come una manifestazione del pensiero musicale luterano quando la si interpreterà a segmenti separati, ciascuno dei quali destinato non a coprire un unico servizio liturgico (come è il caso di una Missa tota), bensì a soddisfare esigenze specifiche delle grandi festività in cui era consentito praticare la polifonia applicata ai testi latini dell’Ordinarium».

L’Academia, forte della sua pluriennale esperienza sui testi di Bach, ne ha dato un’interpretazione intensa ed equilibrata: il Kyrie di apertura, in cui coro e orchestra fanno un tutt’uno, è l’equivalente dell’ouverture di un’opera, e in effetti una dimensione teatrale è sempre avvertibile in questa Messa, in particolare nei dialoghi tra strumenti e voci, ma come una tentazione ben controllata, che screzia appena di un fremito una partitura severa, ma non fredda.

Il canto di lode e ringraziamento del Gloria  è un inno sfavillante di ebbrezza, dove la musica amplifica gli “affetti” espressi dalle parole; nel Credo la fede è dichiarata dapprima sommessamente, poi con crescente franchezza e sicurezza evidenziate dal duetto, in cui soprano e contralto ripetono a eco le stesse parole, ribadendole in modo incrollabile; il Sanctus è imponente come una cattedrale, l’Agnus Dei una preghiera sublime.

La dialogicità appassionata è lo specifico, la sigla di questa esecuzione, com’è tipico dell’Academia e del suo direttore, e com’è tipico di Bach, sempre attento alla dimensione corale dell’esperienza religiosa, come dimostra la struggente, umanissima Passione secondo Matteo.

Il concerto è stato replicato a Torino, presso l’Auditorium della RAI, all’interno della serie L’altro suono dell’Unione Musicale e nell’ambito di Note per la Sindone.

IL CONCERTO GROSSO, UNA CONVERSAZIONE APPASSIONATA (7-4-2013)

Serata corelliana, quella di domenica 7 aprile: di Arcangelo Corelli erano infatti cinque dei sette brani eseguiti dai Giovani dell’Academia sotto la guida magnetica del maestro Enrico Onofri, nel terzo centenario della morte del compositore a cui si deve una delle maggiori innovazioni della musica barocca, il “concerto grosso”. Quando però i suoi “Concerti grossi op.VI”, scritti nell’arco di venticinque anni, vengono stampati postumi nel 1714, paradossalmente appaiono l’opera di un conservatore, perché nel frattempo, dopo gli esempi clamorosi di Torelli, Albinoni e soprattutto di Vivaldi, si era imposto il concerto tripartito…

I tre concerti grossi di Corelli proposti, dall’opus 6, hanno permesso di cogliere la varietà di atmosfere all’interno della raccolta, dalle ipnotiche vibrazioni chiaroscurali, avvolgenti e sinuose, del concerto n.1, alla meditazione severa e all’arduo virtuosismo contrappuntistico del n.3, alle diverse colorazioni dinamiche incatenate l’una all’altra nel concerto n.4; la sonata op.3 n.4, dalla superba geometria piramidale, interpretata in versione orchestrale, ha esemplificato la genesi del concerto grosso dalla struttura della sonata a tre, da chiesa o da camera. Di Corelli anche il bis, la famosa “Pastorale” – più che giustificata dato il clima, ha spiritosamente commentato il direttore!

Gli altri brani eseguiti nella serata sono stati la celebre Passacaglia di Muffat, interpretata con grande energia, mettendone fortemente in risalto la struttura dialogica, quasi da ‘concerto grosso’, e il Concerto Grosso op.2 n.7 di Giovanni Mossi, in prima esecuzione moderna – una vera ‘chicca’. Mossi, allievo prediletto e uno dei massimi eredi di Corelli, è un musicista viterbese oggi pressoché sconosciuto, forse perché non ha mai voluto allontanarsi da Roma: ma è stato ingiustamente obliato, perché è un compositore innovativo, di considerevole bravura: il concerto eseguito ha qualcosa di bachiano, una musicalità cantabile e ‘affettuosa’, brillante e appagante, piena di vitalità.

Un concerto decisamente affascinante grazie anche al carisma del maestro Onofri, vero asceta del violino, teso e intenso.   (Gabriella Mongardi)

L’ALCHIMIA DEL CONCERTO BAROCCO  (19-4-2012)

Il sesto concerto della stagione C’è qualcosa di nuovo… anzi d’antico ci ha permesso di incontrare i molteplici volti del concerto grosso italiano nel primo Settecento, attraverso i concerti di Vivaldi, Corelli e Locatelli  interpretati con suono caldo e potente dall’orchestra “I Giovani dell’Academia Montis Regalis”, diretta dal maestro Luigi Mangiocavallo.

Il concerto grosso è stata l’ultima grande creazione musicale del periodo barocco;  inventore può esserne considerato il violinista italiano Arcangelo Corelli, che per primo ha suddiviso l’orchestra in due sezioni, i soli o concertino e il tutti o concerto grosso, e ha codificato l’alternanza di tempi lenti e veloci nella struttura del concerto; di lui è stato proposto il Concerto op. 6 n.11 in si bemolle maggiore, praticamente una suite di danze (una vorticosa allemanda, una dolcissima sarabanda, una vivace giga) aperta da un trascinante preludio, dalla struttura poderosa.

Ai tempi di Locatelli il concerto grosso era una forma ormai arcaica, perché di fatto sostituita da tempo dal concerto solistico vivaldiano; in effetti, nei due concerti grossi eseguiti (op. 1 n.1 e n.2), è evidente la sua ricerca di nuove strade, in direzione del poema sinfonico e del gusto galante: il n.2 in particolare spicca per la coralità calda e piena del tutti, l’incisività del dialogo fra i solisti, l’atmosfera tra malinconica e nostalgica che solo nell’allegro finale approda al rasserenamento.

La novità del concerto solistico è stata invece rappresentata dal concerto RV 117 di Vivaldi: sontuoso l’attacco anapestico con i bassi in evidenza e un ritmo marziale ben scandito; il largo pensoso e solenne; tempestoso, a gran voce, l’allegro conclusivo.

Nonostante gli scroscianti applausi del pubblico, i “Giovani” non hanno concesso bis, perché di partenza per Berlino, dove hanno rappresentato l’Italia nella “Lunga notte delle scoperte” che sabato scorso ha inauguratola VI Biennaledi Musica Antica al Konzerthaus, in una rassegna che si propone di indicare “il futuro della musica antica”, presentando al pubblico berlinese “giovani artisti con il coraggio di oltrepassare i confini e innovativi approcci nell’interpretazione” – una definizione che si attaglia perfettamente al nostro ensemble!                      (Gabriella Mongardi)


CONSONANZE DI MELANCONIA, DA SIVIGLIA A MONDOVI’ (25-3-2012)

Suona con intensità e passione, fascino e grazia la violinista Amandine Beyer, che dopo tre anni di assenza è tornata a Mondovì con il suo ensemble “Gli Incogniti”, ospite dell’ Academia Montis Regalis per il sesto concerto della stagione “C’è qualcosa di nuovo… anzi d’antico”. E ci ha proposto davvero qualcosa di nuovo nell’antico, ossia un compositore barocco pressoché sconosciuto, Nicola Matteis, la cui musica brillante e seducente merita assolutamente di essere riscoperta e riascoltata.

Il concerto, suggestivamente intitolato “False consonances of Melancholy” (riprendendo il titolo del trattato di Matteis stesso “False consonances of Musick”, in cui l’autore proponeva l’uso della chitarra barocca come basso continuo) intercalava la musica di Matteis a quella di Purcell: il napoletano Matteis, infatti, dal 1674 fu a Londra, dove ottenne uno strepitoso successo per il suo straordinario talento di violinista e fu preso a modello da Henry Purcell nelle sue Sonate, con il risultato che  grazie a lui lo stile italiano in Inghilterra soppiantò quello francese.

Proposto in sala da concerto, il confronto Matteis-Purcell si è tradotto in un “duello” tra due modi molto diversi di intendere la musica: le Sonate di Purcell sono solidi edifici contrappuntistici, massicci e un po’ freddi, mentre le suite di Matteis sono un canto a gola spiegata, complesso, vario, di grande spessore armonico, e le parti fugate sono trasfigurate in uno spiritoso dialogo, in uno scoppiettante vorticare di passi di danza. Il vincitore del duello è dunque Matteis? Nel primo tempo del concerto sicuramente sì, ma nel secondo Purcell si è ampiamente riscattato con la suite per clavicembalo solo magistralmente interpretata da Anna Fontana, sicché il risultato finale è un meritato pareggio, molto gradevole per gli ascoltatori…                      (Gabriella Mongardi)


MIRACOLO IN MUSICA A MONDOVÌ (15-1-2012)

Se non è un miracolo, questo … Ci sono note scritte su un foglio, circa trecento anni fa; gli otto musicisti sul palco, che leggono quelle note, le traducono in movimenti della mano e del braccio che producono suoni. Le onde sonore colpiscono il nostro orecchio e vengono trasmesse dal nervo acustico al cervello, che le converte in melodia, armonia, ritmo, emozione…

Se non è un miracolo, questo! Rendere percepibile lo spessore materico del suono, la sua genesi tra tecnica e fisiologia – ecco il senso della ricerca filologica dell’Academia Montis Regalis, che sfocia in un’interpretazione di grande, intensa modernità, anche di un’opera arcinota, come le “Quattro Stagioni” di Vivaldi. L’incedere della Primavera ha un che di marziale, di stridulo quasi nella sua acerbità; lento è lo sciogliersi del gelo, ma travolgente è infine il prorompere della vita della natura. L’Estate esplode nei trasalimenti e negli spasimi del temporale, l’autunno avanza con foga e slancio in un caleidoscopio di “affetti” – impazienza, fretta, scoramento, uggia, abbandono, baldanza… Ma è nell’inverno che espressività e virtuosismo di violino e violoncello raggiungono il vertice, in cerca di dissonanze esasperate, davvero spettacolari nella loro fredda amarezza.

Marco Ceccato

Incastonato al centro delle “Stagioni” il concerto per violoncello RV 420 di Vivaldi: il solista Marco Ceccato come sempre fa cantare il suo strumento con sonorità pastose e rotonde, in un chiaroscuro screziato di vibrante passione; al termine del concerto, come bis, il dolente adagio di un concerto per violino di Tartini, interpretato in modo sublime da Francesco D’Orazio su un violino Guarneri del 1711 – non per niente D’Orazio è stato il primo violinista italiano ad ottenere, nel 2009, il prestigioso “Premio Abbiati della critica italiana” nella categoria Solista, dopo Salvatore Accardo nel 1985. Gli altri bravissimi interpreti erano: Paola Nervi e Agnes Kertesz violini; Pasquale Lepore viola; Roberto Bevilacqua contrabbasso; Francesco Romano tiorba; Giorgio Tabacco clavicembalo. (Gabriella Mongardi)